Il nostro sito fa uso di cookies per migliorare la tua esperienza di navigazione. Continuando a navigare accetti l'uso di questi file.

ITALIA: what else?

Team n. 2, Fulton

Mange tak, grazie mille

Un modo alquanto bizzarro di incominciare a raccontare la propria esperienza, ma altrettanto bizzarra e inconsueta è stata la mia avventura che non posso fare a meno di introdurla con un “grazie”.

Ma andiamo con ordine, per non tralasciare nulla di importante, perché voglio che questa mia piccola e breve testimonianza possa entrarvi nel cuore e vi faccia amare, come l’ho amata io, la Danimarca.

Sono arrivato a Copenaghen in un giorno uggioso, piovoso e grigio, con lo spirito pieno di aspettative e pronto a vivere la mia esperienza al massimo, tempo permettendo. Ad accogliermi, oltre ai Lions, ho trovato una splendida famigliola, con papà Mads e mamma Pia pronti a tutto pur di venirmi incontro e aiutare me e il mio caro amico Simon, col quale ho condiviso ogni giorno di questa stupenda avventura. Avevamo come guida la secondo genita della famiglia, Astrid, ragazza davvero in gamba e solare, per la quale siamo stati dei fratelli minori; insieme all’altra sorella, Emilie, ci siamo divertiti parecchio, visitando Copenaghen e le sue vie, il suo canale, il parco divertimenti Tivoli, il Torrione di Cristiano IV, Christiania… e poi in giro per Lejre, una cittadina fantastica, attraverso il museo Vichingo, nel Lejre Park, a Roskilde, e nella loro casa al mare. Il loro spirito e il loro entusiasmo, insieme a un’abbondante dose di sorrisi, mi ha fatto capire quanto di nascosto inaspettata si fosse rivelata per me questa terra stupenda e meravigliosa. E poi, beh, cosa potevo chiedere di più? Una nave, o meglio, lei: la Fulton. Ora, chiariamoci, quando mi avevano accennato all’esperienza di “sailing” nel mare del Nord, alla scoperta dei porti e dei fiordi danesi, il nostro amabile mezzo di trasporto me l’ero prefigurato in una maniera lievemente diversa; e non ero il solo ad essere intimorito da quella tre alberi poco più lunga di 20 metri, che avrebbe solcato il mare, ma che, soprattutto, avremmo dovuto governare noi, ragazzi inesperti e letteralmente alla deriva! 

Nessuno sapeva di navigazione, nessuno sapeva come si vive in barca, nessuno aveva mai sentito parlare di un nodo a “gassa d’amante”, ma nessuno, e dico davvero, nessuno è stato lasciato da parte. 

Una famiglia: ecco come ricorderò per sempre le nostre due settimane sulla Fulton. Eravamo una famiglia, con gli assistenti del campo a farci quasi da mamma e papà, anche se avevamo pochi anni di differenza, insieme a i più anziani John e Lona, che erano più i nostri nonni adottivi. Abbiamo lasciato il porto di Frederiksvaerk nel primo pomeriggio di sabato 19 luglio, verso un’avventura che ci avrebbe portato in posti e porti meravigliosi, a dormire sotto le stelle, a non dormire per i turni di notte, a issare le vele, a tuffarsi da una scogliera; a preparare il pane, il pasto, a lavare la nave da cima a fondo; a lavarsi nei porti, nelle docce pubbliche, quando si trovavano, a vedere borghi storici e nascosti, a camminare nel deserto, ad allenarsi in una palestra di Tai Boxing. Ma anche a conoscerci. Abbiamo gioito, urlato e riso, tra noi, ma abbiamo anche pianto e sofferto, sempre insieme: dopo i primi giorni lo capivi a pelle se qualcosa non andava, se il tuo amico, il tuo compagno, il tuo fratello e sorella aveva un problema; e allora gli stavi accanto, lo aiutavi, perché l’altro avrebbe fatto lo stesso con te, non ti avrebbe abbandonato, non ti avrebbe deriso. “imagine all the people, sharing all the world” cantava John Lennon, e l’abbiamo cantata anche noi, insieme, il giorno prima della partenza, dei saluti e dei pianti. 

  

Ma non degli addii, pechè ci rivedremo ancora, magari sulla stessa nave, per un’altra avventura. Abbiamo imparato anche e soprattutto che alla base della vita risiede la forza di volontà, la voglia di andare contro i limiti che l’uomo ha sempre avuto: because “you might say I’m a dreamer, but I am not the only one”.

Mange Tak, Denmark