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ITALIA: what else?

Il mattino del 9 luglio 2016 arrivai all’aeroporto “Marconi” di Bologna in preda dall’ansia e pensando a tutto ciò che mi avrebbe atteso in Austria al mio arrivo: la famiglia, i luoghi, i cibi e il camp.
Ero elettrizzata ed emozionata per l’esperienza che di lì a poco sarebbe iniziata e appena salì sull’aereo con il mio basso sospirai profondamente.
Il viaggio fu breve e senza intoppi. Arrivai all’aeroporto di Vienna dove Felix, camp director, membro dei Lions e mio fratello ospitante mi aspettava a braccia aperte e con un sorriso smagliante.
Finalmente feci conoscenza anche di Friedrich, soprannominato Fritz, padre di Felix e anch’esso membro dei Lions e alcune ragazze che sarebbero state con me durante il campo.
Il clima e le persone furono accoglienti e mi rilassai subito.

Mezz’ora dopo il mio arrivo io, Felix, Fritz e la mia compagna d’avventura nonché di casa danese, Ellen, partimmo con destinazione casa Drobesch ad Admont, piccolo paese nella regione austriaca dell’Istria che ci avrebbe ospitato per una settimana.


Durante il viaggio in macchina, di circa due ore, approfittammo per conoscerci e ascoltare un po’ di tipica musica austriaca, con paesaggi ricolmi di alberi e natura come scenario.
Giunti a destinazione pronta sulla soglia di casa c’era Gaby, madre di Felix e moglie di Fritz, sprizzante di gioia per la nostra conoscenza con merende e cure a non finire.
In quell’unica settimana in famiglia ho avuto l’occasione di parlare un po’ tedesco, lingua da me studiata, di conoscere a fondo la cultura austriaca, poco esplorata prima di quel momento e la cultura danese ma soprattutto ho avuto l’occasione di incontrare meravigliose persone che mi hanno fatto molto cambiare la visione di tante cose.


Io ed Ellen fummo particolarmente fortunate perché dato che la nostra famiglia gestiva il camp “Sound of Music”, dove avremmo trascorso due settimane piene di risate e nuove amicizie, conoscevano anche molte altre famiglie ospitanti e di conseguenza organizzarono insieme a loro gite e pranzi.
Il mattino del 16 io ed Ellen arrivammo al campo insieme a Felix, lo aiutammo a sistemare alcune cose per preparare l’arrivo degli altri ragazzi e esplorammo un po’ il posto.
La cittadina dove si trovava il campo, Bad Gleichenberg, era bellissima, piccola e in mezzo alle montagne, ma comunque ben attrezzata e viva.
Tutti arrivarono e iniziò la seconda parte della mia avventura: il camp.

Il tema principale del camp era la musica, in particolare il coro, quindi ogni mattina, dalle 9 alle 12:15 ci esercitammo per il concerto finale che si sarebbe tenuto la sera prima della nostra partenza per ritornare in patria.
Fu un’esperienza del tutto nuova per me ma alla fine me la cavai abbastanza bene e scoprì che cantare in un coro, insieme a tutti i tuoi amici è sì impegnativo e difficile, ma anche molto divertente. Il primo venerdì della settimana avemmo il “concerto delle nazioni” dove appunto ogni nazione presentò una canzone tipica: noi quattro ragazzi italiani preparammo ed esibimmo “O bella ciao”, con tre voci, tromba, percussioni, fisarmonica e basso.

Fu una serata divertente e piena d’allegria. Le nostre giornate passarono tra brani da imparare, jam sessions, passeggiate in mezzo alla natura austriaca e tante, tante risate. Il camp era ben fornito di “band rooms”, tavoli da ping pong, giochi di società, carte, una bella mensa e il tutto sempre pulito e in ordine. Nelle camere, molto luminose e spaziose, eravamo a coppie e fu lì che incontrai una delle mie nuove migliori amiche, cioè la mia compagna di stanza norvegese, Hedda.


Tutti i ragazzi presenti sono persone meravigliose e molto curiose a imparare gli uni dagli altri e infatti si formò un gruppo molto unito anche se eravamo circa trenta da venti nazioni diverse. Il concerto finale fu strepitoso, tra canzoni austriache, africane e indiane ci divertimmo un mondo, ma la parte più divertente in assoluto fu la sera. Ballammo tutta la notte con la musica ad alto volume tutti insieme, anche con i nostri insegnanti e fu fantastico. In teoria ci saremmo dovuti alzare alle cinque per andare in aeroporto, che distava circa due ore, ma nessuno andò a letto e riuscimmo a dormire solo sul pullman.
Dato che abbiamo vissuto per due settimane, quasi ventiquattro ore su ventiquattro, vederci partire uno ad uno, ci distrusse lentamente il cuore, soprattutto per quelli come me che partirono per ultimi, perché ogni volta c’erano abbracci e fiumi di lacrime, specialmente fra i compagni di stanze.
Alla fine dovetti salutare un ragazzo che ora considero come un fratello, Rami da Nazareth, visto che avevamo l’aereo quasi in coincidenza.
È stata un’esperienza che è perfino difficile descrivere a parole, piena di momenti emozionanti, intensi e felici, tutto questo grazie ai Lions che hanno saputo organizzare un viaggio così bello e che non scorderò mai nella mia vita.