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Vi immaginate mai come deve essere fare il giro del mondo?
Come si deve essere sentito Magellano, quando quasi alla fine del suo viaggio è morto nelle Filippine?
All’altro capo del globo si cammina a testa in giù?
Domande che possono sembrare sciocche, eppure erano le uniche che si affacciavano alla mia mente nei mesi precedenti al mio viaggio, oltre alla comprensibile paura di perdersi negli aeroporti, addirittura, di perdere l’aereo. Ho 17 anni e non avrei mai pensato che un’opportunità del genere potesse presentarsi.Sono partita a metà dicembre per una di quelle che considero come le esperienze migliori della mia breve vita.
Per la prima volta ho viaggiato da sola, ho imparato cosa vuol dire dover contare solo su se stessi e non avere un adulto che ti guida nelle decisioni e ti riporta nella giusta direzione se ci si perde.

Tre italiani hanno compiuto il “folle volo” con me in direzione Nuova Zelanda e dopo un viaggio interminabile siamo atterrati a Auckland, una delle maggiori città dell’isola del nord, dove siamo stati accolti da una coppia di Lions che ci ha spiegato come sarebbero andate le cose e ci ha accompagnato ai voli successivi. Dopo un’ora di volo finalmente ho conosciuto la prima delle famiglie che mi avrebbe ospitato: Mary e Stephen Barr. In questo primo periodo nella terra dei kiwi ho osservato come avviene la mungitura e ho assistito ad alcune attività tipiche di una fattoria. Ho trascorso il giorno di Natale con questa famiglia ed è stato assolutamente strano, non tanto per le persone che mi circondavano e che erano diverse dai miei familiari, ma perché non avrei mai pensato di poter assistere a una festività, da noi ritenuta assolutamente invernale, in estate. Ero in maniche corte e pensavo a come i miei familiari stessero passando quello stesso periodo, circondati da riscaldamento e coperte: era una sensazione insolita e assolutamente unica.
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Dopo il mio periodo con questa famiglia sono andata all’International Youth Camp che si svolgeva, con persone provenienti da quasi ogni parte del mondo, in una città più a nord chiamata Tauranga. Ho trascorso i giorni più belli della mia permanenza e non saprei scegliere il mio momento preferito. Tra i giochi a squadre, i film visti in autobus, le chiacchierate fino a sera tardi, la pasta di fortuna cucinata con prodotti neozelandesi e servita, purtroppo, fredda; vorrei che non fosse mai finita.
Dopo dieci giorni in cui ho imparato a conoscere quei ragazzi e ho iniziato a considerarli amici, ci sono stati gli addii più dolorosi di quelli che ho dovuto affrontare durante tutto il viaggio. Avevamo festeggiato l’arrivo del nuovo anno assieme, ballando all’inverosimile e dormendo sotto le stelle e ora dovevamo lasciare tutto alle spalle e andare avanti, salutarci con la promessa che ci saremmo rivisti.

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La seconda famiglia che mi ha ospitato mi ha fatto sentire a casa, accolta e mi sentivo come se fossi davvero loro nipote. Maria e George Goodhew sono due delle persone più gentili che io abbia mai conosciuto e si sono dimostrati disponibili nel fare nuove conoscenze ed esperienze.
Da loro ho imparato che nonostante l’età si può sempre fare ciò che piace: George nonostante i suoi anni va a correre quasi ogni giorno per mantenersi in allenamento, mentre Maria dopo essersi occupata del suo giardino, è presente attivamente ad ogni attività del Lions Club della sua zona. Con questa famiglia ho visto per la prima volta nella mia vita l’oceano e mi sono fatta fare una manicure; ma soprattutto ho iniziato a considerare queste persone con cui mangiavo, parlavo, vedevo la tv e leggevo ogni giorno come di famiglia, e una volta rientrata in Italia non ho smesso di tenermi in contatto con loro.
Ho trascorso il mio ultimo periodo al di la del mondo vicino a Auckland, con gli altri tre italiani. Eravamo tutti ospiti di Linda Forbes, una signora aperta all’approccio a nuove culture e che si è dimostrata molto disponibile nei nostri confronti. Abbiamo visitato Auckland con Linda per la maggior parte delle mattine, mentre i pomeriggi eravamo soliti stare in salotto a vedere film con una Linda attenta soprattutto durante le molte commedie italiane. Dopo il quasi fallimento della nostra pasta allo Youth Camp abbiamo pensato di riprovarci, e come segno di gratitudine per l’ospitalità e la pazienza concessa abbiamo cucinato la pasta una seconda volta.
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Il mio ultimo giorno in Nuova Zelanda non è stato dei peggiori, la tristezza della partenza c’era, eppure sapevo che la mia bolla di sapone sarebbe rimasta intatta fino a quando avrei viaggiato con gli altri italiani, che ormai erano quasi una seconda famiglia per me. Una volta atterrati a Dubai, infatti, tutta la verità mi si è riversata addosso e ho capito che molto presto sarei dovuta tornare alla realtà, alla scuola e alle cose di ogni giorno: non ero pronta, non ero ancora pronta a lasciare quel mondo dove l’inglese regna sovrano e tutti sono così ospitali, ma soprattutto non ero ancora pronta a lasciare tutte le meravigliose persone che avevo conosciuto e quella fantastica esperienza alle spalle. Arrivata al gate per Venezia mi è venuto un colpo al cuore, l’inglese che per un mese avevo imparato a sentire ovunque non c’era più, rimpiazzato da stralci di frasi nella mia lingua e da persone che parlavano in italiano in ogni direzione: era l’inizio della fine.
In tutta sincerità considero questa come l’esperienza migliore della mia vita e se potessi tornerei indietro per rivivere quei momenti e fare in modo che passino meno velocemente. Devo ammettere che a una prima impressione sembrava un viaggio suicidio, passare più di un giorno all’interno di un aereo, ma ne è valsa la pena.

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