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Downsizing, così si intitola un film che ho selezionato completamente a caso sull’aereo che mi stava portando a Hong Kong. Mai mi sarei immaginato che tra quell’assortimento di film che ho l’abitudine di lasciare a metà avrei trovato uno spunto su cui avrei poi basato la maggior parte delle riflessioni a cui l’esperienza di Hong Kong mi ha portato.
Il film è ambientato in un futuro non troppo lontano in cui uno scienziato riesce a mettere a punto un trattamento che permette di ridurre di dimensione gli umani per combattere la crisi ambientale provocata dal sovrappopolamento del Mondo. Le persone che scelgono di sottoporsi all’operazione vivono quindi nel lusso di una vita in cui lo spazio e le risorse sono abbondanti, contribuendo al contempo a rallentare la crisi ecologica che il pianeta sta affrontando.

Sono tornato col pensiero ogni volta in cui mi ritrovavo a constare la caratteristica che maggiormente determina la vita ad Hong Kong: la mancanza di spazio. La città, di dimensioni ridotte e distribuita su una penisola e un piccolo arcipelago ospita otto milioni di persone che vivono tutte una sopra l’altra in minuscoli appartamenti. Prima di iniziare a descrivere quella minuscola e vivissima città-stato, così unica nel suo genere, è importante fare una premessa storica. Attualmente Hong Kong è parte a tutti gli effetti della Cina, pur mantenendo una certa autonomia (che sta inesorabilmente scemando) dal governo centrale. Però un secolo intero però la città è stata parte dell’impero britannico, dal quale ha ereditato stile di vita, tradizioni, urbanistica e architettura. Il risultato è un bizzarro scontro tra Oriente e Occidente, una città che potrebbe essere Londra o Shangai in base alla prospettiva adottata. Ci sono autobus a due piani, vie e piazze intitolate a sovrani inglesi e grattacieli con enormi “buchi” nella loro struttura in rispetto del Feng Shui tradizionale cinese (sono porte per far passare i draghi, dicono). È un posto un po’ assurdo, ma non solo da questo punto di vista.
Hong Kong mi ha permesso di capire cosa significa parlare di milioni di persone, un numero davvero difficile da immaginare. Ogni piccolo spazio di terra è occupato, ogni edificio è un grattacielo, ogni persona insignificante nella folla. La città è “la più verticale al mondo”, e il suo skyline sulla baia è impressionante. Nella prima parte del mio soggiorno ho avuto la fortuna di essere ospitato da una vivace coppia con un appartamento minuscolo (ma enormemente più grande di quelli del resto della città, ho scoperto più tardi) al trentunesimo piano di un edificio. Erano costantemente impegnati, instancabili, mi sembravano non dormire mai, come il resto della città. Mi hanno detto che mi aspettano, per quando mi ritroverò anch’io a lavorare lì, come è successo all’ultimo ragazzo italiano che hanno avuto in scambio.
Hong Kong è un posto unico al mondo, mozzafiato. Tutte le sue peculiarità mi hanno permesso di vedere cose che prima potevo solo a fatica immaginare.
HK

Ho visto un milione di persone riunirsi e marciare per la democrazia e i diritti umani e mi sono reso davvero conto di cosa sia una folla. Ho visto le dimensioni degli appartamenti degli abitanti della città, le cosiddette cage homes, l’incubo di ogni claustrofobico. A Hong Kong la stragrande maggioranza della popolazione ha smesso di usare la macchina, perché inefficiente e inutilmente costosa. Mancando spazio i parcheggi costano più delle auto stesse, mentre il trasporto pubblico di massa è veloce ed efficiente, nonostante affronti ogni giorno svariati milioni di fruitori.
L’unica merce che ha valore lì è lo spazio, mentre i beni materiali smettono quasi di avere un vero costo in quella città ricchissima.
Persino morire lì è diventato un privilegio di pochi privilegiati che se lo possono permettere. “Living in HK is quite expensive, but dying here isn’t cheap too” come mi aveva spiegato efficacemente uno degli organizzatori dello scambio mentre mi mostrava l’unico minuscolo cimitero della città.
Ma non vorrei che Hong Kong apparisse solo una caotica città di soli grattacieli. Anzi, grazie a un qualche illuminato legislatore di svariati decenni fa, tutte le aree verdi sono state preservate da ogni cementificazione, senza eccezioni. Così il 40% del territorio è ancora dominato da ampie foreste incontaminate, che rendono la città molto più vivibile di molti centri urbani europei con solo qualche piccolo parco qua e là. Ogni mattina in cui ne avevo il tempo mi svegliavo così prima dell’alba e andavo a camminare nelle foreste con il mio host father, e dopo pochi passi mi ritrovavo subito a dimenticarmi dove mi trovavo, salvo poi ridestarmi scorgendo l’assurda vista di schiere di grattacieli tra gli alberi.
Ma il mio viaggio non si è fermato solo a Hong Kong, che si potrebbe vivere per mesi senza riuscire a conoscerla a fondo (nonostante le dimensioni ridotte). Ho avuto anche la straordinaria opportunità di viaggiare con i treni ad alta velocità cinesi per centinaia di chilometri attraverso la Cina continentale (così è chiamata il territorio cinese senza i territori semiautonomi di Hong Kong e Macao).
Con gli altri ragazzi partecipanti allo scambio ho soggiornato per qualche giorno a Luoyang, antichissima capitale dell’Impero cinese. Una città che avrebbe dovuto evocare la sua storia millenaria come la nostra Roma.
Ma purtroppo non è così, la Cina che ho potuto guardare da vicino è una Cina con ancora i postumi della Rivoluzione Culturale, è vuota e insignificante. I siti turistici sono solo tristi ricostruzioni effettuate dopo un patetico pentimento sul valore della storia dovuto al fatto che questa porta utili introiti dal settore turistico. La Cina attuale è una realtà che fingiamo di ignorare per non vergognarci troppo dei nostri acquisti quotidiani Made in China. Ma stiamo parlando di uno stato abitato da un miliardo e mezzo di persone dove non si può nemmeno cercare Wikipedia su internet, non si possono reperire informazioni su argomenti scomodi al Governo centrale, non si può comunicare tramite applicazioni non approvate. Mentre ero lì pensavo continuamente a come fosse assurdo che non si parli di questo tutti i giorni. Dopotutto una persona su cinque su questo pianeta è cinese, ma a nessuno di noi sembra importare, almeno finché le scarpe che indossiamo costino sufficientemente poco per poterle cambiare ogni pochi mesi.
Dopo la forte esperienza della Cina continentale sono tornato con il resto del gruppo a Hong Kong, dove abbiamo preso un battello per Macao, l’altra ex colonia europea (in questo caso portoghese) tornata anch’essa da vent’anni in mano alla Cina. Ho sentito definire da qualcuno Macao come una piccola Las Vegas, ma mai epiteto fu più sbagliato. I casinò di Macao fatturano sette volte quelli di Las Vegas, altro che “piccola”.
Essendo l’unica zona in tutta la Cina dove è permesso il gioco d’azzardo, ogni anno svariate decine di milioni di persone la visitano per giocare nei suoi lussuosissimi casinò. Come Hong Kong è un’area ricchissima, in continua espansione e sempre in costruzione, i grattacieli non sono mai abbastanza alti. Almeno finché un qualche scienziato non scoprirà un modo per rimpicciolirci tutti e farci stare tutti un po’ più larghi.

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Per timore di dilungarmi troppo mi fermo qui, anche se è estremamente difficile esprimere in poche righe tutti i pensieri e le riflessioni che il mese che ho passato a Hong Kong, in Cina e a Macao mi ha suscitato, ma ancora una volta ha la priorità rispetto a ulteriori racconti il bisogno di ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile tutto ciò. Esperienze come questa ogni volta stravolgono il modo in cui vedo il Mondo e chi lo abita, e anche questa volta non posso che essere grato a tutti voi.