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Prima di informarmi tramite gli scambi giovanili Lions non avevo mai preso in considerazione la possibilità di recarmi in Nuova Zelanda, un posto così lontano e per me quasi sconosciuto, di cui mi era nota solo la bellezza della natura. Mi è stato proposto di recarmi per tre settimane nell'isola nord, prima in famiglia, poi in camp, e penso che accettare sia stata una delle decisioni migliori della mia vita.
Sono partita il 18 dicembre e dopo un viaggio di quasi due giorni sono arrivata a Wellington, esausta per i tre voli che sembravano non terminare mai, dove mi aspettava la mia host family, una coppia di gentilissimi e dolcissimi anziani, che nonostante l'età aveva moltissima energia e voglia di fare.
Fin dal primo giorni mi ha colpito il paesaggio stupendo, tanto diverso rispetto alle città a cui siamo abituati in Italia: persino nella capitale c'è moltissimo verde, mentre le strade extraurbane sono affiancate da prati, colline e file di alberi. 

La mia esperienza in famiglia è stata assolutamente positiva, i miei host parents mi hanno trattata come una figlia e questo mi ha anche aiutata ad accettare di trascorrere il giorno di Natale lontana dalla mia famiglia. Hanno organizzato le loro giornate in modo da potermi portare a visitare il territorio e non farmi mai annoiare: sono andata in spiaggia, ho visitato Wellington e in particolare il museo Te Papa, molto interessante per imparare qualcosa del luogo, sono stata a Foxton e Whaikanue, mi hanno portata alla riserva naturale Nga Manu... Grazie a loro ero sempre impegnata, non eravamo quasi mai a casa, piuttosto andavamo a fare una passeggiata sulla spiaggia o nella bellissima natura che circondava Waikanae, il paese in cui abitano.

Oltre a visitare molti posti quando stavo con loro ho conosciuto i loro parenti e amici: queste persone mi hanno colpita per la loro grande gentilezza e disponibilità, erano interessati a parlare con me e mi facevano domande sull'Italia.
Nonostante la mia host family non avesse figli della mia età in casa, non ho mai sofferto la solitudine perché ho da subito instaurato con loro uno splendido legame e ancora adesso, dopo un mese da quando li ho incontrati, siamo in contatto e già stiamo programmando di vederci ancora.
Al momento della partenza per il camp ero emozionata perché sapevo che mi sarei divertita molto, avrei conosciuto tanti ragazzi della mia età e avremmo sempre avuto attività a tenerci occupati, ma non ho potuto trattenere le lacrime al momento di salutarci: sapevo, speravo che fosse solo un arrivederci e non un addio, ma non avrei voluto lasciare due persone che tanto avevano fatto per me senza nemmeno conoscermi, che mi avevano dato così tanto senza chiedere nulla in cambio e che mi avevano fatta sentire a casa.
Per quanto riguarda il cibo, pensavo che la qualità sarebbe stata simile a quella della cucina inglese; devo ammettere invece di esser stata positivamente sorpresa. La mia host family non comprava mai cibo già pronto ma preparava ogni pasto in casa e non mi ha mai fatto mancare nulla. I pasti erano diversi rispetto a quelli a cui ero abituata: a colazione avevamo uova, pane, marmellata, miele, cereali, frutta, butto (che viene regolarmente usato il grande quantità nella cucina neozelandese), mentre il pranzo veniva saltato; uno snack poi al pomeriggio e alla sera una cena leggera, a base di carne, verdura e formaggio. 

Ho sentito un poco la nostalgia del pranzo di Natale, che è stato meno ricco rispetto a quello che ho con la mia famiglia in Italia, ma almeno tutto quello che abbiamo mangiato era buono.
La settimana trascorsa in famiglia è stata intensa per le varie attività, ma ho avuto modo di riposarmi; i successivi dieci giorni di camp sono stati belli quanto invece stancanti. È stata un'esperienza completamente diversa rispetto a quella in famiglia e mi ha aiutata anch'essa nella mia crescita, oltre a lasciarmi stupendi ricordi che custodirò nel cuore per sempre.
Dopo aver attraversato quasi tutta l'isola nord sono arrivata al camp che si trova a Rotorua e lì ho incontrato di nuovo i ragazzi italiani con cui ero partita. Quello che mi ha subito colpita è stata la struttura molto spartana, costituita da due camerate, un edificio con i bagni e uno dove mangiare; nella camera una quindicina di letti a castello, tutti vicini, con un sacco a pelo al posto delle coperte. Eravamo completamente isolati da qualsiasi forma di civiltà, immersi nella natura, senza nemmeno connessione per il telefono: tutto questo avrebbe potuto scoraggiare dei giovani, mentre vivere al camp è stato bellissimo, nonostante il caffè istantaneo, nonostante dormissimo poco, nonostante fossimo rimasti due giorni senza corrente, nonostante la pizza con l'ananas, nonostante le attese infinite per le docce.

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C'erano persone un po' da tutto il mondo: Australia, India, Argentina, Malesia, Brasile, Giappone e ovviamente Nuova Zelanda. Si è creato fin da subito un bel gruppo tra di noi e ho instaurato amicizie che spero di poter mantenere a lungo. Insieme ne abbiamo passate di ogni e quei dieci giorni sono sembrati una vita; siamo andati a nuotare nel fiume, abbiamo camminato nelle acque calde passando tra rocce strette, siamo stati in un villaggio Maori, abbiamo festeggiato capodanno insieme accendendo i fuochi d'artificio nel camp, abbiamo gareggiato con i kart scendendo da una collina, abbiamo fatto passeggiate nella natura e siamo stati in spiaggia. Lo staff è stato molto gentile e presente, e persino il cibo pur non essendo certo quello a cui sono abituata era di buona qualità.
L'ultimo giorno è stato molto difficile per me perché non avrei voluto lasciare le persone che avevo conosciuto e a cui mi ero tanto legata seppure in poco tempo, ma al contempo ero veramente contenta per aver avuto un'opportunità del genere, perché mai avrei pensato che avrebbe inciso così tanto sulla mia vita. Ora che sono tornata mi sento diversa, cambiata, perché essere così lontana dalla mia solita vita mi ha aiutata a capire meglio chi fossi. 

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