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Ciò che più mi ha colpito dell'Australia sono gli eucalipti. Il verde di un eucalipto cambia ogni ora, ogni minuto, col muoversi del sole; la luce lì ha un'intensità diversa, è più pura, non deve attraversare coltri di aria inquinata

prima di colpire la terra; i tronchi contorti si fanno lisci e bianchi più sono vicini al cielo. Ne ho persino visti alcuni sanguinare, producono una strana resina rossastra e densa quando brutalmente o inavvertitamente viene loro reciso un ramo.  La casa della mia famiglia ospitante era nel mezzo di una di queste distese, accanto ad un fiume. Nelle ore più calde del giorno piccoli pappagalli colorati cantavano in festa, ascoltarli era bello quanto stare a guardarli. Ho vissuto tre settimane come in una favola esotica, sentendomi amata. La mia madre ospitante, Marilyn, mi raccontava storie del suo passato e del passato dei suoi antenati, facendomi vedere coi suoi occhi cosa significa vivere in uno stato così giovane, uno stato di migranti,  di voci e storie multiformi. Rob, il mio padre ospitante, suonava per noi la chitarra e mi ha insegnato come tagliare la legna e tenere un fuoco, sempre con il sorriso sulle labbra. 

Quando sono arrivata al campo mi sono trovata catapultata in un'altra dimensione, non mi ero resa conto che all'interno di un paese solo potessero esserci differenze tanto grandi! Almeno 15 gradi in più, la foresta tropicale, papaya e mango a gogò. Ho visto spiagge di sabbia che aveva consistenza e colore della farina, mi sono immersa nell'oceano per scoprire i colori e la vita nella barriera corallina, ho guidato una moto d'acqua in un lago con i coccodrilli. Nel campo eravamo 37 ragazzi, tutti da posti diversi, tutti desiderosi di conoscerci e di raccontarci. L'ultima notte siamo stati attorno ad un falò, circondati da wallabies (piccoli canguri) cantando e piangendo per il pezzo di cuore che partendo lasciavamo lì.